La storia di Veronica Zucca

La storia di Veronica Zucca

Il 12 gennaio 1902, in una domenica d’inverno, su piazza Paesana, attuale Piazza Savoia, emerge la storia di Veronica Zucca, una bambina di 5 anni e mezzo, che scompare mentre gioca sul marciapiede davanti al bar dei genitori.

Si tratta del Caffè Savoia, proprio all’incrocio con via della Consolata.

                                                                                                                   A cura di Mirko Di Leonardo


Inizialmente è indiziato il cameriere sedicenne, Alfredo Conti, licenziato perché definito poco volenteroso; il quale aveva minacciato vendetta. Interrogato, confessò di aver parlato con la bambina; ma solo per chiedere se un tal “Chiabretto”, suo amico, era all’interno del bar. Fu scarcerato per mancanza di prove.

Fonte http://www.mole24.it

La storia di Veronica Zucca: le accuse

In quei giorni, palazzo Paesana di Saluzzo, situato al numero civico 1 di via della Consolata, si trova al centro di una serie di restauri. Uno degli operai impegnati nei lavori, il falegname Angelo Damiano, è intento a liberare gli infernotti (le cantine). Quando fa una macabra scoperta. Trova il corpo della bambina, trafitto da 16 coltellate, dentro una grande cassa di legno. Gli inquirenti tornarono ad accusare Conti, ma in breve è completamente scagionato e passano ad accusare Carlo Tosetti, uomo di fiducia del marchese di Paesana: da 40 anni suo cocchiere e per certi aspetti uno di famiglia.

Per l’opinione pubblica diventa lui l’assassino, forse in ragione del fatto che quell’uomo ha libero accesso agli infernotti. L’uomo per due mesi è torchiato dalla polizia e lasciato in prigione a languire; diventa oggetto di accuse da parte dei giornalisti che costruiscono teoremi poi risultati infondati.

Trascorrerà il resto della vita in solitudine, ferito dal sospetto di molti e guardato come un criminale. Morirà in povertà, dimenticato. La storia fu sepolta dal silenzio, nonostante i genitori della bambina offrirono ricompensa a chi avesse trovato il suo assassino. Trascorse 1 anno e mezzo, finché accadde un altro episodio. La piccola Teresina Demaria, giocava sul pianerottolo del suo appartamento al quarto piano di palazzo Paesana, quando all’improvviso scomparve! Il portinaio allarmato, controllò nei sotterranei, ma senza successo.

Giovanni Gioli

Fonte: www.piemontetopnews.it Disegno di Gioli al Processo

Non convinto, all’indomani, vi fece ritorno per sondare a fondo il dedalo di cantine e trovò, ben nascosta in fondo ad uno dei tanti cunicoli, la piccola Teresina; esanime, ferita da tre coltellate ma ancora viva.

Le indagini condussero al 23enne Giovanni Gioli, che abitava nelle soffitte del palazzo. Alcuni inquilini ricordarono di averlo visto in compagnia della bambina; inoltre il portinaio dichiarò che l’uomo, il giorno precedente, gli aveva chiesto le chiavi delle cantine per ripulirle. Dopo un lungo interrogatorio si stabilì che il Gioli era un individuo mentalmente instabile, che a malapena riusciva a imbastire un discorso comprensibile.

Si scoprì inoltre, che aveva molestato anche altre bambine con lo stesso metodo. Prima e dopo i tragici fatti, senza che le famiglie ne avessero fatto parola. Probabilmente per evitare chi “rogne”, chi la vergogna.

Negli interrogatori Gioli parla di voci e visioni:

«Da un po’ di tempo facevo brutti sogni. Vedevo acqua, tanta acqua e un’ombra. Un fantasma mi correva dietro e mi faceva paura. Scappavo ma è come se non riuscissi a muovermi. Una notte sono anche caduto dal letto».

In questo tratto però, Gioli ha la lucidità di ricordarsi alcuni fatti salienti relativi all’uccisione di Teresina: «Il coltello non tagliava, serviva solo a bucare, allora l’ho messa nel cassone che era ancora viva».

Il processo ha inizio nel febbraio del 1904; l’imputato continuò a ridacchiare per tutto il tempo del processo. Sfuggì all’ergastolo, ma gli fu negata l’infermità mentale e di seguito, condannato a 25 anni e due mesi; più 3 anni di vigilanza speciale.

Salvato dal linciaggio, all’uscita della Corte di Assise, alle urla della folla rispose:

«Uscirò a 48 anni, a 48 anni sarò fuori». 

Seminfermo di mente e maniaco, ma i conti li sapeva fare piuttosto in fretta!

Giovanni Gioli, muore in carcere nel 1912, dopo 8 anni di reclusione. Diversi anni dopo, nel 1917, dall’archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale a pagina 147 dei volumi 38-39 ci si domanda ancora «che cosa è successo di Giovanni Gioli; e che cosa sarà di lui, in una società nel tempo quasi imminente, di sua rientrata alla vita»?

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by M. D. L.

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