Kitty Genovese e il Bystander Effect

Kitty Genovese e il Bystander Effect

13 marzo 1964. Sono le 2:30 del mattino. Kitty Genovese, di ritorno dal lavoro, viene avvicinata da un uomo con un coltello. Spaventata corre verso il portone d’ingresso del suo condominio. L’uomo la raggiunge in pochi istanti. La pugnala. Nel silenzio riecheggiano le urla di dolore e terrore dalla giovane. Robert Mozer, un vicino di casa, si affaccia alla finestra della sua abitazione. Urla, intimando all’uomo di smetterla : “Lasciate stare quella ragazza!”. Parole che fanno fuggire l’aggressore.

Tuttavia, Kitty Genovese resta a terra, gravemente ferita. Ma nonostante tutto, riesce a trascinarsi sul retro del suo appartamento. Purtroppo, una decina di minuti dopo, l’aggressore ritorna. Vuole completare il suo “progetto”, la accoltella ancora, la stupra e la deruba di tutto ciò che al momento la giovane ha con sé. Viene ritrovata in fin di vita, dalla vicina di casa Sophia Farrar, che grida a qualcuno di chiamare la polizia, che arriva diversi minuti dopo. Kitty Genovese muore in ambulanza durante il tragitto verso l’ospedale.

Chi era Kitty Genovese e perché fu uccisa?

Catherine Susan “Kitty” Genovese

Catherine Susan “Kitty” Genovese nacque a Brooklyn, New York, il 7 luglio 1935, dai genitori Vincent e Rachel Genovese. Kitty, la più grande, di cinque figli, fu una studentessa modello e si diplomò alla Prospect Heights High School e ricordata anche per essere stata votata “Class Cut-Up” durante l’ultimo anno. A seguito del suo diploma nel 1953, sua madre fu testimone di un omicidio avvenuto in strada, che spinse la famiglia a trasferirsi a New Canaan, nel Connecticut.

Kitty Genovese, tuttavia, rimase a New York City, lavorando come segretaria in una compagnia di assicurazioni e poi di notte all’Ev’s 11th Hour, un bar nel quartiere Hollis del Queens, prima come barista e poi come direttrice, che la spinse a trasferirvisi. Una decina di anni dopo, Kitty incontrò, Mary Ann Zielonko, in un nightclub del Greenwich Village. Divenne la sua compagna di vita. Insieme, le due trovarono un appartamento al secondo piano di Kew Gardens, nel Queens, considerata una zona tranquilla e sicura in cui vivere.

Prime luci sull’omicidio

Erano le 4 del mattino quando la polizia bussò alla porta dell’appartamento e informò Mary Ann dell’accoltellamento e della morte della sua ragazza. Solo verso le 7 del mattino, il detective Mitchell Sang arrivò per interrogarla, mentre veniva consolata con del liquore dal vicino Karl Ross. Sang trovò Ross invadente durante le fasi dell’interrogatorio e, infastidito lo arrestò per condotta disordinata. Sang, oltretutto era a conoscenza del fatto che il corpo di Kitty fosse stato ritrovato proprio in fondo alle scale che portavano all’appartamento di Ross.

Più tardi, arrivarono i detective della omicidi, John Carroll e Jerry Burns, e interrogarono la Ann sulla sua relazione con la Genovese. L’interrogatorio, però, prese una piega inappropriata, che si concentrò sulla loro vita sessuale, e durò per ben sei ore. Gran parte degli interrogatori della polizia fatti ai vicini, rivelarono una preoccupazione per le abitudini di vita sessuale della coppia.

Mary Ann Zielonko, senza causa apparente, venne considerata comunque una sospettata.

Caso risolto

Più tardi, quella settimana, la polizia ricevette una chiamata per una sospetta rapina. Nel bagagliaio di un’auto, appartenente a un sospettato, gli ufficiali trovarono un televisore. L’uomo, Winston Moseley, fu arrestato e portato in centrale, dove confessò di aver rubato diversi elettrodomestici decine di volte. Moseley, inoltre, guidava una Corvair bianca e questo colpì il detective John Tartaglia, che ricordò come, alcuni testimoni dell’omicidio di Kitty Genovese, avessero riferito di aver visto un’auto bianca, tipo Corvair. Ne parlò con Moseley, lo interrogò, ma di primo acchito non disse nulla.

Tartaglia chiamò i detective John Carroll e Mitchell Sang. Questi notarono delle abrasioni sulle mani di Moseley e, dopo una serie di osservazioni, lo accusarono di aver ucciso la Genovese. Moseley ribatté di aver effettivamente commesso l’omicidio e confermò informazioni che solo l’assassino avrebbe potuto sapere.

Kitty Genovese
Kitty Genovese
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L’omicida, aveva notato la Genovese a un semaforo, restando seduto nella sua auto parcheggiata sulla strada. Poi l’aveva seguita fino a casa. Aveva girato per il Queens alla ricerca di una vittima, senza però fornire un valido movente per la sua aggressione. All’epoca, Moseley era sposato con tre figli e non aveva precedenti. In seguito, l’uomo avrebbe confessato altri stupri, compresi altri due omicidi, quelli di Annie Mae Johnson e Barbara Kralik.

Il 15 giugno 1964 fu condannato a morte, pena che fu poi ridotta all’ergastolo nel 1967. Successivamente, dichiarò che fu un mafioso ad aver giustiziato la Catherine e che lui era solo l’autista per la fuga. Ma, c’è da chiedersi, perché un mafioso avrebbe dovuto ucciderla? qual era il movente? domande senza risposta che lasciarono l’omicida in carcere a scontare la pena. Poi, ci fu un altro colpo di scena: il figlio di Moseley dichiarò di credere che quest’ultimo avesse aggredito la Genovese perché la ragazza gli avrebbe urlato contro insulti razziali. Moseley morì in carcere il 28 marzo 2016, a 81 anni.

Kitty Genovese
Kitty Genovese/ Winston Moseley – l’arresto 

37 persone che hanno visto l’omicidio non hanno chiamato la polizia

Il 27 marzo 1964, il New York Times pubblicò un articolo intitolato “37 Who Saw Murder Didn’t Call The Police“, in cui si sosteneva che diversi vicini avevano sentito o assistito all’omicidio di Kitty Genovese, ma non avevano fatto nulla per aiutarla. L’articolo nacque da una conversazione tra il redattore del Times A. M. Rosenthal e il commissario di polizia Michael Murphy, durante la quale Murphy fece l’affermazione che costituisce la base dell’articolo.

Il giorno successivo il giornale pubblicò un’analisi nella quale, diversi esperti di psicologia -inerenti i motivi per cui le persone scelgono di non essere coinvolte – intervenivano sull’argomento. Più tardi, nel corso dell’anno, Rosenthal adattò queste informazioni in un libro intitolato Trentotto testimoni: The Kitty Genovese Case. Il servizio del New York Times fu criticato per i numerosi errori di fatto e accusato di aver architettato un fenomeno sociale a fini sensazionalistici.

Decenni dopo l’omicidio, è nato un movimento giornalistico per correggere la disinformazione perpetuata (dalle storie del New York Times). Nel 2004, il giornalista Jim Rasenberger scrisse un articolo per il Times che sfatava le affermazioni del servizio del 1964. Un articolo del 2007 di Rachel Manning, Mark Levine e Alan Collins, pubblicato su American Psychologist, ha ulteriormente smentito le affermazioni di Rosenthal. Nel 2015, il fratello minore di Catherine Genovese, Bill, ha prodotto e narrato il documentario The Witness, che espone con forza il caso contro il resoconto del Times.

Bystander Effect

Il fenomeno, chiamato Effetto Bystander o Sindrome di Genovese, cerca di spiegare perché chi assiste a un crimine non aiuta la vittima. Gli psicologi Bibb Latané e John Darley hanno fatto carriera studiando proprio l’Effetto Bystander e hanno dimostrato in esperimenti clinici che i testimoni hanno meno probabilità di aiutare la vittima di un crimine se ci sono altri testimoni. Più sono i testimoni, meno è probabile che una sola persona intervenga. L’Effetto Bystander è stato utilizzato dalla stampa come parabola di una società moderna moralmente fallita che perde la compassione per gli altri, soprattutto nelle città.

Non volevo essere coinvolto e la nascita del 911

È stato dimostrato che solo due vicini si sono mossi, al momento dell’omicidio, (almeno secondo il Times). Uno di questi era Karl Ross. La sera stessa, Ross, che tra l’altro era in stato di ebbrezza, sentì dei rumori e, dopo aver riflettuto, aprì la porta di casa per indagare. Vide la Genovese stesa a terra, ancora viva e che tentava di parlare, e Moseley che la pugnalava. Chiuse la porta e chiamò un amico per chiedergli cosa fare. L’amico disse di non farsi coinvolgere. Alla fine Ross – forse mosso dai sensi di colpa – uscì dalla finestra recandosi nell’appartamento di un vicino chiamando la polizia solo dopo aver sentito Sophie Farrar gridare. La spiegazione di Ross fu – “Non volevo essere coinvolto” – che divenne, poi, la famosa controreplica dell’Effetto Bystander.

L’omicidio di Kitty Genovese è considerato uno dei fattori che hanno spinto l’istituzione del sistema di emergenza 911, dopo che i funzionari della città di New York si sono uniti a uno sforzo nazionale che ha coinvolto i funzionari di altre città. Nel 1968 è diventato il numero di emergenza nazionale.