Il Canaro un caso di vendetta sanguinaria

Il Canaro un caso di vendetta sanguinaria

Esplorando gli annali del crimine italiano è forse difficile trovare un livello di violenza pari al delitto concepito da Pietro De Negri soprannominato il Canaro. Una vicenda che nel 1988 sconvolge la Capitale, soprattutto perché l’assassino è un uomo esile e timido, che di mestiere fa il tosatore di cani. Mentre la vittima è l’ex pugile Giancarlo Ricci di 27 anni, un uomo grande e grosso ucciso con inaudita ferocia. Ma cosa ha generato tanta crudeltà? Scopriamolo insieme ripercorrendo le fasi di questa pagina nera del nostro Paese che comincia nella zona popolare di Roma, nel quartiere Portuense. È il pomeriggio del 18 febbraio 1988 e Giancarlo accompagnato da un amico raggiunge il negozio di toelette per cani, in via della Magliana 253.

L’appuntamento mortale con il Canaro

Quel giorno ha appuntamento con Pietro il Canaro che attende un trafficante di droga siciliano con una grossa partita di cocaina che Ricci potrebbe rapinare. Tuttavia è una scusa inventata da Pietro che vuole vendicarsi di tanti soprusi, ricatti e intimidazioni, subiti dall’ex pugile. Allora con una scusa invita il ragazzo ad entrare in una gabbia e una volta rinchiuso lo stordisce con una bastonata in testa. Il primo atto bestiale è quello di tagliargli la lingua, per impedirgli di urlare. Poi l’assassino ha in mente di mutilare la faccia della vittima per farlo somigliare ad un cane. Agli inquirenti De Negri dirà:

Gli ho anche tagliato le orecchie come facevo ai dobermann. Sembrava uno zombie. Non moriva mai. Alla fine, esasperato, gli ho aperto la bocca con una chiave inglese, rompendogli i denti, e l’ho soffocato mettendogli dentro tutto quello che gli avevo amputato”!

Il Canaro

La scoperta del corpo

Tuttavia l’odio e il rancore spingono il Canaro a limiti quasi inconcepibili per una mente umana. Infatti dopo aver tagliato al ragazzo le dita delle mani e bruciato le ferite, lo uccide con una martellata in testa. La tortura però continua perché gli taglia gli organi genitali e gli strappa le pupille. Infine trascina il cadavere in una discarica dietro i palazzoni del quartiere Portuense. Il corpo è ritrovato da due allevatori di cavalli alle 8.30 di venerdì 19 febbraio 1988 su una radura disseminata di rifiuti. Che quel cadavere appartenga a Giancarlo Ricci piccolo malavitoso, la polizia lo scopre grazie alle impronte digitali. Chi ha ucciso vuole far capire che quella è una punizione, che quell’uomo è stato giustiziato. La polizia comincia subito gli interrogatori nell’ambiente frequentato da Ricci, il quartiere della Magliana. Interroga 85 persone prima di arrivare a Pietro De Negri.

La condanna e la libertà dopo lo sconto della pena

Per gli inquirenti il caso è chiuso, processato per aver ucciso l’ex pugile sotto effetto di cocaina il Canaro è condannato a 24 anni. Ma il 26 ottobre 2005, dopo aver scontato 16 anni, l’assassino è rimesso in libertà dal Tribuinale di Sorveglianza di Roma. De Negri ha dichiarato attraverso un memoriale consegnato ai giudici d’appello dai suoi avvocati di non essere pentito, anzi ha detto:

Se rinascessi lo rifarei”!

Questa parentesi di cronaca nera nostrana ci lascia un monito, ossia che l’odio può portare a comportamenti feroci. E ci ricorda che anche l’uomo all’apparenza più mite, se vuole, può ritornare a essere belva.