Affreschi della morte un mistero dell’arte a Clusone

Affreschi della morte un mistero dell’arte a Clusone

Il XIV secolo è un tempo regnato da incertezze e paure ereditate dalla peste nera, che cavalca l’Europa mietendo milioni di persone. Perciò era quanto mai importante riuscire ad esorcizzare la morte, che si trovava ovunque, attraverso le immagini. Per questo motivo nascono i temi iconografici della danza macabra, del trionfo della morte e dell’incontro dei tre morti ed i tre vivi. In Italia abbiamo probabilmente un esempio unico che racchiude tutte e tre le rappresentazioni, si tratta degli affreschi della morte sulle pareti dell’Oratorio dei Disciplini di Clusone.

La storia degli affreschi della morte

Questo suggestivo borgo in Val Seriana, a pochi chilometri da Bergamo, a partire dal XIV secolo è scelto come sede della Confraternita dei Disciplini Bianchi. Una enigmatica associazione religiosa fortemente fanatica e dedita all’autoflagellazione, i cui membri indossano un cappuccio sul quale sono aperte solo due fessure per gli occhi. Decidono di costruire l’oratorio intorno alla metà del 1300, come necessità dell’Ordine di avere una sala dove riunirsi. Esattamente sulla facciata della parte più antica dell’oratorio nel 1485 Giacomo Borlone de Buschis dipinge gli affreschi della morte. La prima scena è il Trionfo la Morte in veste di scheletro con una corona e sulle spalle un mantello. È sopra un sarcofago al cui interno si trovano ormai privi di vita il Papa e l’Imperatore con intorno serpenti, rospi e scorpioni. Sono simboli di superbia e morte improvvisa che popolano questa sorta di giudizio universale macabro, in cui Gesù sparisce.

Affreschi della morte

Un terribile messaggio di uguaglianza

Ma cosa vogliono dirci queste terribili immagini? Forse che sulla Terra nessuno è immortale, perché anche l’uomo più potente si troverà prima o poi sepolto sottoterra al pari di chiunque. La seconda parte dell’affresco racconta una storia nera che ci parla di tre cavalieri che incontrano durante il loro viaggio tre morti viventi. Che minacciosamente dicono in un cartiglio:

“Ciò che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si scorda di noi, scorda se stesso”!

La danza macabra occupa tutta la fascia inferiore con la rappresentazione di un ballo funebre tra gli scheletri e uomini comuni. C’è una donna con uno specchio punita per la sua vanità, un contadino, un oste, un soldato, un mercante con la sacchetta del denaro. Ognuno balla con un proprio compagno, uno scheletro che beffardo e divertito lo conduce danzando verso l’ignoto.

Un perpetuo enigma

Ed è forse questa ultima scena a darci la chiave di lettura e spiegarci il mistero della vita e della morte. Oggi probabilmente ce ne dimentichiamo, ma per i nostri avi l’aldilà era motivo fondamentale della propria esistenza per dare un senso a tutto. Pertanto la morte trova spazio nei luoghi sacri per ricordare in eterno che non siamo padroni del tempo.


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