Gli incubi di villa Diodati, e le sue storie del terrore

Gli incubi di villa Diodati, e le sue storie del terrore

Gli incubi di villa Diodati. «Era una notte buia e tempestosa»… quante volte abbiamo letto un racconto dell’orrore che iniziasse con questa frase, diventata un classico della letteratura del fantastico?

Ebbene, le condizioni climatiche avverse furono un elemento essenziale per la creazione della giusta atmosfera; che portò alla nascita di due tra i racconti più famosi del genere “gotico”. Stiamo parlando de Il vampiro e dell’intramontabile Frankenstein.

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Per convenzione, la nascita della letteratura gotica è fissata al 1764. Anno di pubblicazione del romanzo breve Il castello di Otranto dell’inglese Horace Walpole, considerato un pioniere di questo filone letterario. Le inquietanti fantasie visionarie dell’autore ˗ popolate di giganti spettrali, elmi magici, quadri parlanti; sotterranei labirintici e fanciulle in pericolo ˗ diventarono elementi fondanti di ogni racconto pauroso che si rispetti.

Gli incubi di villa Diodati
Gli incubi di villa Diodati – Ritratto di Lord Byron

Per fissare un’altra data capitale nella storia della letteratura gotica, occorre spostarsi di tempo e luogo; precisamente nel giugno del 1816 nell’elegante villa Diodati, sulle rive del lago di Ginevra. La dimora era stata affittata dall’inglese Lord Byron ˗ incarnazione del poeta romantico e “maledetto” ˗ che vi soggiornò in compagnia del suo segretario John William Polidori.

Nello stesso periodo, Percy Bysshe Shelley – altro esponente del romanticismo letterario inglese – la sua compagna Mary e la sorellastra di lei, Claire Clairmont, soggiornavano in un’altra casa nelle vicinanze; e questo fece di loro gli ospiti più o meno fissi di Byron a villa Diodati.

Gli incubi di villa Diodati: le paure del subconscio

Percy Bysshe Shelley

In realtà, Percy e Mary pianificarono di trascorrere l’estate con Lord Byron, perché egli di recente aveva cominciato una relazione con Claire, la quale era rimasta incinta. Lo scopo di tale incontro era, infatti, quello di prendere decisioni sul da farsi nei confronti della creatura che sarebbe nata di lì a poco.

Claire Clairmont (1798-1879)

Il gruppo trascorreva le giornate prevalentemente scrivendo, andando in barca sul lago e conversando spesso fino a notte fonda.  Vari furono gli argomenti intessuti alla luce del fuoco scoppiettante nel camino: gli esperimenti condotti nel XVIII secolo da Erasmus Darwin, il quale affermò di esser riuscito a rianimare la materia morta, il galvanismo – termine che, in fisiologia, indica la contrazione di un muscolo stimolato da una corrente elettrica – e la possibilità di ricomporre e ridare vita alle parti di un essere vivente.

Ben presto, però, le condizioni meteorologiche mutarono in peggio, e Byron e compagni si ritrovarono costretti a passare molto tempo chiusi in casa. Tutto per via di una pioggia particolarmente fitta e incessante che si protrasse per giorni interi. Sembra che il clima all’interno di villa Diodati divenne poco a poco teso e freddo; probabilmente anche per via della situazione delicata tra Claire a Byron. E per la presenza di Polidori, legato al poeta da un’amicizia inquinata da un sentimento ambiguo di “sotterraneo” odio morboso. Fino a quando la monotonia di quelle lunghe giornate uggiose non fu interrotta dal ritrovamento casuale di vari libri che raccoglievano storie di fantasmi. 

Gli incubi di villa Diodati
Ritratto di John William Polidori – Gli incubi di villa Diodati

Il racconto di Shelley

Lasciamo raccontare alla stessa Mary Shelley la singolare circostanza: «Nell’estate del 1816 visitammo la Svizzera e divenimmo vicini di casa di Lord Byron. […] Ma quell’estate si dimostrò piovosa e inclemente; spesso una pioggia incessante ci confinò in casa per giorni. Ci capitarono per le mani alcuni volumi di storie di fantasmi, tradotte in francese dal tedesco. […] Da allora non mi è più capitato di rileggere queste storie, ma tutti gli episodi sono così freschi e nitidi nella mia mente come se li avessi appena letti. “Scriveremo ciascuno una storia di fantasmi”, disse Lord Byron, e la sua proposta venne accettata».

E qui torniamo all’inizio della nostra storia, perché, a quanto sembra, l’unica a impegnarsi seriamente fu Mary Shelley, che compose il famosissimo Frankenstein. Byron abbozzò la storia di due viaggiatori uno dei quali si rivela un vampiro, e quando muore fa all’amico una strana richiesta legandolo con un giuramento. Il racconto di Byron si fermava qui. Polidori, dopo aver fatto un tentativo con una storia che non portò a termine, riprese ed elaborò il frammento di racconto di Byron.  

Diamo ancora la parola a Mary Shelley: «Io mi dedicai a pensare a una storia che parlasse alle misteriose paure del nostro anime che risvegliasse dei brividi di orrore – che rendesse il lettore timoroso di guardare dietro di sé, che gelasse il sangue e accelerasse i battiti del cuore». A questo punto intervennero le suggestioni generate sia dalla lettura dei racconti di fantasmi, sia dai discorsi tra Lord Byron e Percy Shelley circa alcuni esperimenti scientifici finalizzati alla rianimazione della materia morta.

La nascita di un capolavoro

Continua a narrare la Shelley: «Su questo discorso trascorremmo l’intera nottata, e anche l’ora delle streghe era passata prima che ci ritirassimo a riposare. Quando misi la testa sul cuscino la mia immaginazione prese possesso di me e iniziò a guidarmi, dandomi, una dopo l’altra, le immagini che si levavano nella mia mente. Io vidi il pallido studente di arti proibite inginocchiato di fronte alla cosa che aveva messo insieme. Vidi la forma orribile di un uomo disteso, e poi grazie all’opera di un qualche potente strumento, lo vidi dar segni di vita e agitarsi con un pensoso moto semi-vitale. Il creatore si terrorizzava del suo stesso successo; scappava via dalla sua opera odiosa, scosso dall’orrore. Si addormentava, ma a un tratto veniva svegliato; vedeva la cosa orribile in piedi accanto al suo letto, che apriva le tende e lo guardava con occhi umidi, gialli, ma pieni di pensiero».

Così, la diciannovenne Mary Shelley iniziò a narrare la vicenda del dottor Frankenstein e della sua creatura a villa Diodati; il racconto fu poi ultimato in Inghilterra e pubblicato una prima volta nel 1818. Il resto è storia ben nota; una storia entrata a pieno diritto nel regno immaginifico della leggenda. Tutti hanno sentito parlare e conoscono, anche marginalmente, Frankenstein, che è diventato uno dei miti della letteratura proprio perché affonda le sue radici nelle paure umane: è probabile che il suo successo sia dovuto proprio alla figura del mostro, espressione della paura al tempo diffusa per lo sviluppo tecnologico. La “creatura” è l’esempio del sublime, del diverso, che in quanto tale causa terrore.

Frankenstein

Dalla pubblicazione del libro, il nome di Frankenstein è entrato nell’immaginario collettivo in ambito letterario, televisivo e cinematografico – altrettanto mitico è il film del 1931 con un inquietante Boris Karloff nei panni del mostro, così come anche famosa è la versione del 1994 diretta da Kenneth Branagh. L’essere nato dalla fantasia di Mary Shelley è diventato, “il” mostro per antonomasia, affiancato da un’altra icona immortale – ed è davvero il caso di dirlo: il vampiro.

Il vampiro più famoso della letteratura è certamente il Dracula di Bram Stoker, pubblicato nel 1897, ma fu proprio a villa Diodati che fu codificata per la prima volta, grazie all’inventiva di John William Polidori, la tipica figura del vampiro come un uomo ombroso, affascinante, aristocratico e fatale.

Mary Shelley

Il personaggio cui Polidori dette vita divenne l’incarnazione perfetta del “Byronic type”, una parodia di Byron, con la quale l’autore voleva forse rivalersi dalle umiliazioni subite da quest’ultimo. Dato che ben poco si conosce della vita di questo singolare medico e scrittore, ancora più arduo risulta sondare la sua personalità: come accennato in precedenza, Polidori era legato a Byron da un rapporto ambivalente dove convivevano una morbosa amicizia contrapposta a un odio non meno esasperato; sentimenti, pare, ricambiati da Byron. Polidori concluse tragicamente la sua esistenza: dopo la rottura con il poeta e un periodo di ristrettezze economiche, non potendo saldare un debito d’onore, si uccise ingerendo un veleno di propria invenzione nell’agosto del 1821.

Come se non bastasse, ironia della sorte, Il vampiro fu per un certo tempo attribuito erroneamente allo stesso Byron, nonostante le sue ripetute smentite. Persino Goethe affermò che si trattava di una delle opere migliori del Lord inglese.

Il vampiro, di John William Polidori

Alla figura di questo vampiro non erano comunque mancati dei precedenti. Polidori si rifece, infatti, al Byron satanico descritto nel romanzo autobiografico di Lady Catherine Lamb, Glenarvon, del 1816. La Lamb, delusa dal marito, riuscì per un certo tempo ad attirare l’attenzione di Byron; ma la sua ossessiva presenza irritò il poeta, che alla fine fece di tutto per troncare la scomoda relazione. Per vendicarsi, la Lamb rappresentò nel suo romanzo Byron nelle vesti del perfido e crudele Ruthven Glenarvon; da qui la scelta del nome di Ruthven, per il vampiro descritto da Polidori.

Ma c’è dell’altro… nella cultura inglese, in Polidori come in Stoker e altrove, il vampiro è una figura antiborghese. Elegante, ben vestito, cinico e infallibile nell’arte della seduzione, una persona al di fuori dei codici sociali e morali predominanti. Nel caso di Ruthven il vampiro, egli rappresenta metaforicamente la decadenza dell’antica aristocrazia che si appella al “diritto di sangue” per far valere ancora il suo prestigio sociale; come un morto vivente che brama ancora la vita, non accetta la propria estinzione.

In conclusione, è lecito affermare che sia Mary Shelley, sia John William Polidori crearono delle figure certamente mostruose, “al limite”, ma che personificavano anche le remote paure non soltanto dell’ignoto, ma anche dei tempi che stavano rapidamente cambiando all’inizio di quel XIX secolo ancora in assestamento dopo gli scossoni provocati dalla Rivoluzione Francese prima e dall’avventura napoleonica poi.

Gli incubi di villa Diodati: notte di fantasia e paure

Quel giugno del 1816 fu teatro di una congiuntura, casuale e irripetibile, di un’estate insolitamente piovosa; di racconti di fantasmi scovati chissà dove – anzi, quasi apparsi dal nulla come una presenza spiritica – e di una sorta di gioco letterario di società. In quel clima tetro, in quella dimora nel cuore delle alpi svizzere si intrecciarono vita, fantasia, paura e letteratura che furono gli ingredienti di quella straordinaria circostanza passata alla storia come la “notte a villa Diodati”.

di Danilo Borri