Il caso Marta Russo, vent’anni dopo

Il caso Marta Russo, vent’anni dopo

Il caso Marta Russo

Marta Russo, una studentessa universitaria, alle ore 12:01 del 9 maggio 1997 è entrata nel pronto soccorso del Policlinico Umberto I di Roma.

Codice rosso. La TAC cerebrale è stata disposta subito dai medici: stabilisce che la ragazza è stata colpita da un proiettile. Tuttavia, dopo cinque giorni, la ragazza muore. Era il 14 maggio 1997. I suoi organi infine sono espiantati e donati.

Il caso Marta Russo: i fatti

I giorni successivi, parte l’indagine. Nel magazzino della ditta preposta alle pulizie dell’università, la ditta “Pultra”, sono trovati due proiettili inesplosi a salve. La sera stessa una decina di dipendenti sono interrogati a seguito del ritrovamento di pistole giocattolo rinvenute durante una perquisizione.

La polizia scientifica scopre tracce di polvere da sparo sul davanzale della finestra dell’aula 6 dell’Istituto di Filosofia del Diritto della facoltà di Scienze Politiche. L’indagine è estesa ai dipendenti di facoltà.

Gli interrogatori e i sopralluoghi sono condotti a ritmo serrato. Si tratta anche di docenti, assistenti e amministrativi che lavorano all’Istituto di Filosofia del Diritto.

È indagato il professor Bruno Romano, direttore dell’Istituto di Filosofia del diritto della facoltà di Giurisprudenza. Secondo l’accusa, Romano ha fatto pressioni sui testimoni perché non rivelassero chi era presente il 9 maggio nell’aula 6. Colpevole di favoreggiamento nei confronti dell’omicida e posto agli arresti domiciliari. È poi del tutto scagionato.

La testimonianza chiave è resa ai magistrati da Maria Chiara Lipari, assistente di Bruno Romano.

Quel giorno come ha riferito al professor Romano, ha visto nell’aula 6 dell’istituto un gruppo di persone.

Interrogatorio e confronto tra Maria Chiara Lipari, Gabriella Alletto e l’usciere Francesco Liparota, si conclude peraltro con l’arresto degli assistenti Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Oltre all’usciere Francesco Liparota. Infine quest’ultimo ritratta la sua confessione, lui non ha visto Scattone e Ferraro il 9 maggio alle 11.42 nella stanza n.6 dell’istituto di Filosofia del diritto.

Le indagini sono chiuse

Gli investigatori il 19 giugno 1997 hanno oramai in mano tutti gli elementi. Perciò l’indagine è in via di chiusura. Possono provare che Giovanni Scattone ha impugnato un’arma ed ha sparato il 9 maggio nell’aula sei alla presenza di Gabriella Alletto, Francesco Liparota, Salvatore Ferraro.

Il 28 giugno parte l’udienza del Tribunale del Riesame. I due imputati ribadiscono la loro estraneità ai fatti. I difensori dei due assistenti mettono in guardia il tribunale sulla personalità di Gabriella Alletto.

Sostengono che è stata ricattata in sede d’interrogatorio. Confermato peraltro da un’intercettazione del 22 maggio sul telefono di Maria Chiara Lipari in cui lei stessa dice che è stata minacciata dal procuratore.

La difesa sostiene che i tecnici della polizia giudiziaria hanno commesso un errore grossolano nel valutare il diametro del proiettile che ha colpito Marta Russo. Questo comporta, di conseguenza, un’errata individuazione delle caratteristiche generali dell’arma che ha sparato.

Il Tribunale della Libertà respinge l’istanza di scarcerazione degli imputati Scattone e Ferraro. Analogamente hanno depositato nel mese di luglio le motivazioni con cui il Tribunale fa risalire l’omicidio di Marta Russo a uno scellerato e irragionevole gioco criminale.

Rileva l’assoluta attendibilità dei tre teste chiave, Maria Chiara Lipari, Gabriella Alletto e Francesco Liparota.

Maria Chiara Lipari nel mese di agosto subisce un nuovo interrogatorio segreto L’assistente ora ricorda che nell’aula 6 c’è Ferraro, forse Scattone. Ha sentito un rumore sordo seguito da un tonfo.

Giulia Olzai è interrogata il mese successivo, lei sostiene di aver visto i due ricercatori allontanarsi dall’Università. Considerato questo, si aggiunge così una nuova testimone all’inchiesta. Ci sono tracce di polvere da sparo nella borsa di Ferraro e sugli indumenti di Scattone secondo i periti nominati dal Gip.

Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone nel 1998 hanno gli arresti domiciliari.

IL PROCESSO CONTINUA SENZA SORPRESE

È il 1999 e una perizia sostiene che sono quattro i punti della zona in cui è caduta Marta Russo compatibili con la traiettoria del proiettile mortale.

Dei quattro punti, tre sono finestre sulla facciata, dove si trova quella dell’Aula 6, mentre la quarta si trova nell’edificio di Fisiologia. È sottolineato anche che non ci sono elementi tecnici a indicare il coinvolgimento degli imputati in quello sparo.

È messa in dubbio anche l’indagine chimica condotta dai periti. Si evidenzia che la particella classificabile come esclusiva dello sparo è stata individuata su una superficie esposta a facili inquinamenti. Quindi non può essere presa in considerazione ai fini di una corretta perizia.

Ciononostante i pubblici ministeri chiedono la condanna di Scattone e Ferraro per omicidio volontario, a 18 anni di reclusione. Chiesta l’assoluzione per gli altri imputati ad eccezione di Francesco Liparota per il quale la procura chiede una condanna a cinque anni e nove mesi. Per la superteste, Gabriella Alletto, è chiesto un solo mese di reclusione per favoreggiamento.

Dopo 70 udienze si conclude il processo il 29 maggio 1999. La Corte d’Assise condanna Giovanni Scattone a 7 anni di reclusione per il reato di omicidio colposo; 4 anni a Salvatore Ferraro per favoreggiamento personale. I due sono immediatamente scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Assolti tutti gli altri imputati.

La procura di Roma ha subito così una sconfitta durissima. Visto che per i due principali imputati ha chiesto una condanna a 18 anni per omicidio volontario. Per Liparota 5 anni e 9 mesi (assolto). Per il prof. Romano addirittura 4 anni (assolto).

Il procuratore generale Luciano Infelisi a gennaio 2001 conferma le richieste di condanna. Per Scattone e Ferraro: 22 anni per il primo imputato; 16 per Ferraro, oltre a 4 per Liparota.

LA CONDANNA

Il mese successivo la Prima corte d’Appello condanna Giovanni Scattone a otto anni di reclusione per omicidio colposo e due milioni di euro di multa. Salvatore Ferraro a sei anni e a una multa di due milioni di euro. Francesco Liparota a quattro anni di reclusione per il reato di favoreggiamento personale.

Inoltre Ferraro e Scattone devono risarcire le spese sostenute in questo processo dalle parti civili. 20 milioni all’Università La Sapienza; circa 61 milioni al padre; circa 71 milioni alla madre e circa 67 milioni alla sorella di Marta Russo.

Questa sentenza di secondo grado è annullata lo stesso anno, a quanto pare il processo è da rifare.

Nel 2002 inizia il secondo processo d’Appello di fronte ai giudici della seconda Corte presieduta da Enzo Trivellese. Condanna Giovanni Scattone a sei anni di reclusione per omicidio colposo, Salvatore Ferraro a 4 anni 6 mesi per favoreggiamento, Francesco Liparota a 2 anni.

Il secondo processo in Cassazione è nel 2003. Il 15 dicembre la V sezione penale della Cassazione condanna definitivamente Scattone a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Ferraro a 4 anni e 2 mesi. Assolto Liparota.

Eliminata l’interdizione dai pubblici uffici. Lo stesso giorno Scattone è arrestato e incarcerato. Con il carcere preventivo Ferraro ha già scontato la pena.

Dopo 28 mesi di reclusione tra carcere preventivo e detenzione nel 2004 torna in libertà Giovanni Scattone. Il Tribunale di Sorveglianza lo ammette all’affidamento in prova ai servizi sociali, questo gli consente di scontare in libertà il residuo di pena.

Conclusioni: Il caso Marta Russo

Nel 2011, il giudice della tredicesima sezione del tribunale civile di Roma, riduce le somme che Scattone e Ferraro devono risarcire ai familiari di Marta Russo.

Da 199 milioni (stabilito dalla Corte d’Appello prima che la sentenza fosse annullata) a un solo milione di euro.

Dalla morte di Marta Russo, sono passati oltre venti anni; ma il caso non sembra chiuso.

Dalle pagine del libro della sorella di Marta Tiziana Russo, “Mia sorella Marta Russo” – (Firenze, 2017), si scopre che esiste un quarto uomo.

Lo dicono gli atti, ne parlano i giudici, eppure qualcuno l’ha fatta franca.

 

Il caso Marta Russo