Jacopo Carucci detto il Pontormo

Jacopo Carucci detto il Pontormo

JACOPO CARUCCI DETTO IL PONTORMO

Pordenone (FI) 1494 – Firenze, 1557

IPOCONDRIA – LA “GRAN PAURA”


Jacopo Carucci detto il Pontormo, i suoi malesseri

Dei malesseri di questo grande artista si dispone di una testimonianza redatta di suo pugno, non proprio un diario ma un libro di ricordi. Composto da sedici carte, piegate in maniera arbitraria, conservato in un volume miscellaneo (Codice Magliabecchiano VIII 1490) custodito nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Il Pontormo lo compila nell’ultimo triennio della sua vita.

Dal 7 gennaio 1554 al 23 ottobre del 1556. In queste pagine egli annota semplicemente tutto: consuetudini alimentari, problemi di salute, condizioni del meteo, frequentazioni. In ultimo annota i lavori riguardanti la sua ultima impresa, gli affreschi del coro della basilica fiorentina di San Lorenzo. Impresa a cui dedica gli ultimi dieci anni della sua vita e che lasciò incompiuta. Il nucleo composto dai fogli autografi dell’artista, conosciuto fin da tempi remoti, ha subito nel tempo una dispersione a causa dei vari passaggi di proprietà.

Nel 1902 viene riscoperto dallo storico dell’arte Arduino Colasanti, ma il primo a pubblicarlo è Frederick Mortimer Clapp nel 1916, in versione integrale in appendice alla monografia sul pittore (Frederick Mortimer Clapp. Jacopo Carucci Da Pontormo, His Life and Work.Yale University Press, 1916). La prima edizione integrale italiana è del 1956 di Emilio Cecchi, critico d’arte e letterario fiorentino(Emilio Cecchi, a cura di. Jacopo da Pontormo, Diario, Le Monnier, Firenze, 1956 ).

 

Il diario del pittore

Non a caso il libro si apre con la descrizione di una anomalia climatica nell’anno 1555, a cui si erano accompagnate alcune epidemie che avevano impressionato il pittore. Continua con una serie infinita di malanni:

11 luglio 1555 “…ho cenato in San Lorenzo e beuto un poco di greco. Non che mi paia stare bene, perché ogni tre ore mi viene lo struggimento”

12 agosto 1555 “Lunedì mattina avevo e febbre e lo stomaco sdegnato; cenai che non mi piacque nulla”.

25 luglio 1556 “…la sera mi lavai e piedi e percossi ne l’uscio con un calcio tale che io mi feci male e duolmi insino ad oggi”.

6 ottobre 1556 “…ma io ho male alla gola”.

Le memorie

Per il regime dietetico Pontormo abbondava con il pane ma scarseggiava con il companatico, in special modo con la carne, forse per avarizia. Un alimento che spesso ricorre è il “pesce d’uovo” ovverosia una frittata di uovo a cui veniva data la forma allungata che ricordava la sagoma di un pesce. E poi: indivia, borragine, cavolo, bietola, radicchio formaggio, agnello capretto e maiale.

Dalle altre pagine si evince il carattere umorale dell’artista che ha pochi amici, tra questi spicca Agnolo Bronzino che spesso è cacciato dalla casa dello stesso Pontormo in maniera scortese. Ad esempio il 15 marzo del 1556 l’artista annota “15, domenica, fu pichiato da Bronzino”. Lo stesso Giorgio Vasari nella seconda edizione delle “Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori” (1568), parlando della casa del Pontormo la descrive come un casamento fantastico e solitario.

Spiega, descrivendo la stanza dove dormiva e lavorava l’artista, che vi si accedeva tramite una scala che veniva tirata su con una carrucola così che nessuno potesse salire da lui. Spesso anche se era in casa non apriva a nessuno. Questa la vita ipocondriaca, solitaria e scontrosa di un genio dell’arte italiana.


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