Raffaello e il disegno: la storia del “Pittor Divino”

Raffaello e il disegno: la storia del “Pittor Divino”

Raffaello e il disegno: l’artista che ha incarnato umanità e trascendenza

Deposizione Borghese” Raffaello Sanzio – 1507, 184 x 176 cm, Galleria Borghese, Roma

Lo scrittore e grammatico veneto Ludovico Dolce asseriva, riguardo a Raffaello, che “ogni sua carta e disegno è prezzato, come si prezzano le gemme e l’oro”. L’artista di Urbino era riconosciuto, cosa nota, come uno dei massimi artisti che fossero mai esistiti; insieme a Leonardo e Michelangelo componeva una sorta di piramide inarrivabile, il cui vertice rappresentava il culmine della perfezione artistica di tutti i tempi.

La gloria raggiunta da Raffaello può essere riassunta e mirabilmente espressa dall’epitaffio scritto dal cardinale Pietro Bembo in occasione della morte dell’artista, nell’aprile 1520: «Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire».
Del “pittor divino” si ammiravano non soltanto le qualità umane, ma soprattutto quelle artistiche: armonia, equilibrio, serenità e – nella fase tarda della sua produzione – un certo stile “tragico” e teatrale che avrebbe influito molto sugli sviluppi della pittura manierista e oltre, fino al Seicento. Il tratto distintivo, riconosciuto come il più peculiare, dell’arte raffaellesca, era la capacità dell’artista di saper variare infinitamente le sue composizioni.

Ispirandosi ad altri grandi artisti suoi pari (Perugino, Luca Signorelli, naturalmente Leonardo e Michelangelo, e altri), Raffaello riusciva comunque a non scivolare nel basso livello della semplice imitazione. Al contrario, egli riusciva a “personalizzare” sempre e comunque le sue ricerche figurative e il suo stile; grazie ad una capacità di assorbimento degli stimoli esterni, rielaborati secondo la sua ottica e poetica.

Raffaello e il disegno: dal Vasari al senso dell’opera pittorica

Lo stesso Giorgio Vasari, autore delle celebri Vite degli artisti più celebri, sottolineava il “lungo studio” praticato incessantemente da Raffaello. Una dedizione alla ricerca e alla sperimentazione di composizioni di volta in volta sempre più innovative; che lo portavano a gareggiare addirittura con la Natura stessa.

Per un artista, il mezzo più efficace per allenare l’occhio, la mente e la mano è il disegno; e le parole di Ludovico Dolce citate poc’anzi ci fanno capire come i disegni dell’artista di Urbino fossero avidamente raccolti da intenditori e collezionisti. Del resto, la nascita del disegno come forma d’arte riconosciuta autonoma, “nobile” e di pari dignità con le altre arti visive, risale proprio al Quattrocento, ed è naturale che i disegni di un sommo artista come Raffaello fossero considerati il fiore all’occhiello di ogni collezione che si rispetti.

Madonna Tempi” – Raffaello Sanzio – 1507-1508 ca. -pietra nera con lumeggiature in bianco – Montpellier, Musée Fabre

In che modo disegnava Raffaello? Come intendeva l’artista questo imprescindibile mezzo di studio, ricerca e miglioramento? Innanzitutto, va subito chiarito che soltanto in rarissimi casi l’artista concepiva i suoi disegni come opere finite, magari come dono per amici o artisti, e questo lo distingueva da tanti altri suoi colleghi, soprattutto fiorentini, che concepivano il disegno come opera perfettamente autonoma, autoconclusiva e a sé stante.

Raffaello aveva una concezione utilitaristica del disegno, che era essenzialmente uno strumento di lavoro utile allo sviluppo del processo creativo; era un passaggio, quindi, che conduceva alla fase finale del lavoro, in altre parole all’opera pittorica, fosse questa un affresco o un dipinto su tela o tavola di varie dimensioni.

La contemplazione delle forme naturalistiche

Addirittura, quando un disegno aveva ormai perso di utilità, era abbandonato o riciclato come punto di partenza per nuovi studi. Altre volte, i disegni erano distrutti. Come si evince dal fatto che per opere molto impegnative – ad esempio, gli affreschi delle Stanze vaticane – ci sia una scarsa documentazione grafica; dovuta senz’altro alla distruzione d’interi gruppi di fogli.

Per quanto riguarda le tecniche impiegate, Raffaello prediligeva l’uso dello stilo, con cui segnava rapidamente sul foglio la prima idea della composizione o di una figura; per poi ripassare e precisare i solchi principali con la penna, la matita, la sanguigna, il gesso e così via.

A volte i disegni erano arricchiti con dei tocchi ad acquerello, biacca e pennello; con i quali l’artista otteneva sfumature, effetti plastici e coloristici che più si avvicinavano all’aspetto che avrebbe poi avuto il dipinto a colori vero e proprio. In alcuni casi, sullo stesso foglio, a fianco a disegni di figure umane, troviamo annotazioni tecniche, brevi poesie e progetti architettonici, a testimoniare l’ampio raggio d’interessi perseguiti da Raffaello.

Raffaello, studio per la “Cacciata di Eliodoro dal Tempio“, 1511-1512, gesso nero, 395 x 259 mm, Oxford Ashmolean Museum

Di là della tecnica, quali erano i soggetti prediletti da Raffaello? La preoccupazione sua e degli altri artisti rinascimentali era quella di raggiungere il massimo livello nell’imitazione della Natura; il che voleva dire rappresentare il corpo umano – con i suoi movimenti ed espressioni – con la massima naturalezza e attendibilità possibile.

Raffaello e il disegno: L’influenza di Leonardo e Michelangelo

Questo comportava anche e soprattutto la conoscenza approfondita dell’anatomia del corpo umano che, se riprodotto fedelmente, poteva infondere vita anche a un semplice disegno. Leonardo stesso, del resto, nel suo Trattato della pittura rivolto all’educazione degli artisti, affermava: «Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile».

 Si tratta del presupposto fondamentale della teoria dei “moti dell’animo”, secondo la quale i personaggi raffigurati devono poter esprimere quello che hanno dentro: sensazioni, sentimenti; in altre parole, l’anima.

Seguendo una pratica usuale all’epoca, sin dai suoi esordi, Raffaello studiava le pose e le azioni delle figure da modelli in costumi contemporanei; di solito erano fasciati in strette calzamaglie e corsetti. Questo per meglio evidenziare le forme del corpo. Solo in un secondo momento, e probabilmente ispirato e spinto dagli straordinari disegni anatomici eseguiti da Leonardo e Michelangelo, Raffaello iniziò a cimentarsi con il nudo. Da quel momento e per tutto l’arco della sua attività, uomini e donne furono disegnati da Raffaello partendo dalla figura nuda che, in seguito, era rivestita di panni e abiti.

La totale espressività

Lo stile movimentato e impetuoso di Leonardo e – soprattutto – Michelangelo, influenzò subito il giovane Raffaello, che iniziò a rappresentare sia le singole figure sia i gruppi di personaggi in maniera più sciolta e meno formale; nei suoi nuovi disegni i movimenti dei corpi esprimono dinamismi e contrapposizioni fino allora inediti.

Un punto di svolta nell’attività del Sanzio fu l’elaborazione della pala dipinta per Atalanta Baglioni raffigurante il Trasporto di Cristo morto; la necessità di collegare tra loro dieci figure in posizioni e atteggiamenti così diversi all’interno di una scena altamente drammatica, portò l’artista a calibrare con estrema cura la disposizione spaziale e i movimenti concatenati dei corpi. Di nuovo, una feconda fonte d’ispirazione furono Leonardo, per quanto riguarda l’esasperata espressività dei volti; e Michelangelo, il cui influsso è ravvisabile nella rotazione ed espansione dei personaggi nello spazio circostante.

La morte del genio creatore

In seguito al trasferimento a Roma, lo stile di Raffaello e lo studio della figura umana cambiarono ulteriormente indirizzo. Probabilmente influenzato dalla scultura classica romana, l’artista intese il corpo umano più armonioso e aggraziato; privo di esasperazione muscolare e addolcito da effetti di sfumato e di chiaroscuro. Accanto a questa riscoperta in senso classico del corpo umano, rimase forte l’esempio di Michelangelo e dei suoi affreschi sulla volta della Cappella Sistina.

Così si spiegano le atmosfere esasperate e cariche di tensione drammatica che caratterizzano alcuni degli affreschi raffaelleschi negli appartamenti del Papa; specie nella Stanza di Eliodoro e nella Stanza dell’incendio di Borgo, dove il pittore mette in scena delle vere e proprie rappresentazioni teatrali.

Com’è risaputo, la vita di Raffaello fu breve: il pittore si spense a trentasette anni, al culmine della gloria e della carriera. Possiamo solo immaginare quali e quanti percorsi e sviluppi avrebbe preso la sua incessante ricerca artistica. Proprio per questo motivo i suoi disegni meritano altissima considerazione. Poiché rappresentano un vero laboratorio in divenire e offrono uno straordinario campo d’indagine; che consente di fare chiarezza nel cammino da lui seguito nel suo operare. È nel disegno, infatti, che prende atto la costruzione della forma, dal quale traspare la prima intuizione del genio creatore.

Considerazioni

Le figure disegnate hanno quell’ariosità e leggiadria inafferrabile nei movimenti che sfuggono nelle opere pittoriche; soprattutto perché, verso la fine della sua vita, Raffaello, oberato dagli impegni, lasciò l’esecuzione finale dei lavori ai suoi collaboratori di bottega. Anche se si trattava di artisti con capacità autonome e di altissimo livello, i personaggi da loro dipinti sembrano più statici rispetto a quelli del maestro. Si direbbe quasi congelati in gesti retorici ed esagerati, più vicini al Manierismo.

Come scrisse lo storico dell’arte, incisore e libraio francese Pierre Jean Mariette alla metà del Settecento, “Raffaello, nei disegni, anche quando sembra trasportato dall’impeto dell’immaginazione, produce di primo acchito opere già così definite, che non rimane quasi niente da aggiungere per darvi l’ultimo tocco”.

di Danilo Borri